L’espressione dissesto idrogeologico viene spesso utilizzata dai mezzi di comunicazione a seguito di calamità naturali quali eventi alluvionali o franosi di un certo rilievo e, talvolta, anche impropriamente.
Più nello specifico, con il termine dissesto idrogeologico si intendono tutta una serie di processi morfologici di alterazione chimica e di disgregazione fisico-meccanica del suolo, e più in generale del territorio, a partire dell’erosione superficiale fino alle frane e alle piene fluviali e torrentizie (alluvioni).
Tali processi di modellamento del territorio hanno come causa principale l’attività antropica – correlata a diverse attività umane che hanno operato trascurando la natura geologica e la conformazione geomorfologica del territorio – quali la cementificazione del territorio con conseguente impermeabilizzazione dei terreni, vale a dire l’espansione di superfici artificiali (noto anche come “consumo del suolo”) non bilanciate da altrettante superfici naturali, o di opere per lo smaltimento delle acque meteoriche, la deforestazione, la trasformazione di aree non idonee allo sviluppo urbanistico, e il loro conseguente utilizzo, a causa della non corretta pianificazione del territorio (ad es. la realizzazione di abitazioni su aree franose o potenzialmente franose, l’espansione di centri abitati in aree montane di sbocco vallivo o in aree di conoide alluvionale interessate da processi torrentizi, la modificazione o l’incanalazione di tratti di rii e corsi d’acqua etc.).
Per la mitigazione del rischio idrogeologico è necessario sviluppare un’approfondita e dettagliata conoscenza del territorio, in senso geologico e geomorfologico dei processi e degli agenti che operano su di esso. La conoscenza del territorio può essere effettuata attraverso un rilevamento geologico e geomorfologico di dettaglio, vale a dire con la mappatura delle aree franose e delle aree potenzialmente interessate da processi fluvio-torrentizi; solo in questo modo si potrà ottenere un quadro della distribuzione spaziale dei fenomeni e una loro classificazione (in senso genetico) che vi operano da cui sviluppare una corretta gestione del territorio.
Oltre all’indagine “in campo” è necessaria una approfondita analisi storica dei fenomeni di dissesto attraverso la ricerca bibliografica di notizie, l’esame di foto aeree storiche e immagini satellitari da cui ricavare informazioni sulla ricorrenza dei fenomeni stessi.
La mitigazione del rischio idrogeologico potrà quindi essere raggiunta solo attraverso una corretta pianificazione territoriale che dovrà essere supportata dalla costante manutenzione del territorio oltre che dalle buone pratiche in campo agricolo-forestale e interventi non strutturali (quali ad es. la posa di drenaggi), da interventi strutturali (ad es. opere di ingegneria naturalistica) e dalla realizzazione di reti di monitoraggio (dei fenomeni franosi e dei processi fluviali e torrentizi) e sistemi di allertamento, finalizzati alla comunicazione e diffusione in tempi rapidi delle informazioni.
I movimenti gravitativi (frane) possono avere origine e meccanismi diversi di evoluzione in ragione delle caratteristiche geologiche dei terreni, dei processi geomorfologici che operano e del regime climatico dell’ambiente in cui si sviluppano. Ad esempio le aree collinari delle Langhe sono per lo più caratterizzate da grandi scivolamenti di tipo planare; quelle dell’Astigiano sono per lo più interessate da frane per colamento rapido e localmente da frane da crollo; mentre nelle aree collinari torinesi o del Monferrato sono più diffuse le frane per scivolamento rotazionale con evoluzione in frane a colamento lento. Quanto appena descritto è una mera semplificazione, poiché una frana a seguito del suo sviluppo può avere una evoluzione complessa, dovuta alla sovrapposizione di più meccanismi cinematici. L’innesco di tali processi gravitativi è generalmente connesso a eventi pluviometrici intensi e/o all’attività antropica quali gli sbancamenti, lo scavo al piede di versanti, la non corretta o assenza di regimazione delle acque di ruscellamento superficiali, la posa di riporti di terreno etc. talora favoriti da fattori predisponenti quali la conformazione morfologica e la natura litologica dei versanti (geometria del pendio, caratteristiche geotecniche dei terreni, le caratteristiche giaciturali e strutturali dei litotipi).
Per quanto riguarda, infine, le aree interessate dal rischio di piene fluviali, lo studio della tendenza evolutiva del reticolato idrografico costituisce un elemento essenziale ai fini della valutazione del rischio di esondazione e pertanto va effettuata una accurata analisi in fase di redazione degli strumenti urbanistici. La ricostruzione della variazione planimetrica di un corso d’acqua, effettuata attraverso l’osservazione delle fotografie aeree, rappresenta un metodo speditivo ed efficace, specie se il risultato viene successivamente raffrontato con cartografie storiche che consentano una valutazione, non solo della tendenza evolutiva del reticolato idrografico, ma anche degli utilizzi del territorio in relazione allo sviluppo urbanistico avvenuto nel tempo (ad es. il riconoscimento di antichi tratti di canali fluviali abbandonati nei quali sono stati realizzati nuovi insediamenti che in occasione di futuri eventi alluvionali potrebbero essere riutilizzati dalle acque di esondazione come vie preferenziale di deflusso).
In ultima analisi, nel contesto della difesa e della protezione del suolo, il geologo (professionista) ricopre un ruolo essenziale – poiché possiede conoscenze e competenze esclusive – essendo l’unico tecnico esperto in grado di “leggere” il paesaggio e la sua evoluzione morfologica, di interpretare le dinamiche degli agenti e dei processi di modellamento che agiscono sul territorio, con l’intento non solo di individuare e perimetrare gli areali a diverso livello di rischio e di pericolo idrogeologico, ma anche di sviluppare possibili scenari futuri in un’ottica di previsione e prevenzione nel settore della pianificazione territoriale (protezione civile). Egli svolge inoltre un ruolo essenziale anche nella gestione delle emergenze, oltre che in tutte quelle attività post-emergenziali, e nella valutazione dei possibili rischi residui. Non ultima è poi la capacità del geologo nella ricostruzione del modello geologico e geotecnico del sottosuolo ai fini della progettazione ingegneristica di interventi finalizzati alla messa in sicurezza di aree dissestate o a rischio.