Relativamente alle “crepe” ovvero alle lesioni strutturali negli edifici, meglio note come dissesti statici nelle strutture indotti da cedimenti differenziali con rotazioni se n’è già parlato in un precedente post, vedi qui.
In questo post ci focalizzeremo sui cedimenti dei terreni con conseguenti lesioni agli edifici riconducibili alla presenza di particolari terreni argillosi meglio noti come argille rigonfianti a seguito di imbibizione di acqua, ovvero suscettibili a fenomeni di rigonfiamento, ritiro e a fenomeni di creep (cedimenti per deformazioni viscose delle scheletro solido dei terreni) e alle verifiche geotecniche in situ e di laboratorio da effettuare per una caratterizzazione geologica e geotecnica dei tali terreni a supporto della soluzione ingegneristica al problema.
Occorre premettere che tale problematica sta avendo una particolare diffusione a causa di lunghi periodi siccitosi piuttosto intesi, tanto che, solo più recentemente, si è iniziato a prendere in considerazione tale aspetto nella pratica progettuale, effettuando indagini geotecniche più precise (quali ad esempio analisi tessiturali di laboratorio su campioni di argilla e prove geotecniche quali ad esempio prove edometriche e di rigonfiamento) per stabilire ad esempio la corretta quota di posa delle fondazioni in ragione non solo alla “portanza” del terreno ma anche alla sua natura e al comportamento a lungo termine.
Cosa sono le argille rigonfianti?
Con“argille rigonfianti” si intendono quei terreni a tessitura argillosa che manifestano rilevanti variazioni di volume, sia positive, per assorbimento di acqua, sia negative, per essiccamento.
L’acqua nelle argille è presente sia nel reticolo cristallino che nei pori (detta gravifica). Il fenomeno del rigonfiamento (e di ritiro delle argille per essiccamento) è connesso all’acqua presente nei pori in quanto l’acqua reticolare viene rimossa solo per temperature superiori ai 100 °C. Inoltre, le argille poste al di sopra della falda freatica manifestano un comportamento estramente compatto (argille sovraconsolidate) in quanto il processo di suzione (connesso alla tensione superficale che determina pressioni negative entro i primi metri di sottosuolo) conferisce all’argilla un aspetto estreamente compatto, come già discusso in un precedente post sulla coesione non drenata (parametro molto significativo nei calcoli geotecnici se determinato correttamente).
Il potenziale di rigonfiamento dipende non solo dalla percentuale di argilla, ma anche dal tipo di minerale argilloso presente.
Un primo esame sulla caratterizzazione delle argille consiste nel valutare la variazione di volume ovvero il potenziale di rigonfiamento studiando la granulometria, le proprietà fisiche e composizione mineralogica del terreno.
Quali tipi di indagini geologiche geotecniche effettuare?
Le prime prove di laboratorio da effettuare su un campione di terreno consistono in:
– prove di classificazione di campioni di terreno per determinare la percentuale di argilla presente nel terreno rispetto alla percentuale sabbiosa e/o limosa;
– determinazione dei Limiti di Atterberg (Limite Liquido e Limite Plastico) che permettono una precisa caratterizzazione sul comportamento fisico-meccanico dei terreni argillosi essendo tali prove basate sul contenuto d’acqua (è noto che il comportamento meccanico dei terreni coesivi -argillosi è fortemente condizionato dal contenuto d’acqua che viene adsorbita dalla particelle: a partire da una miscela fluida terra-acqua all’aumentare del contenuto d’acqua si passa dallo stato solido, semisolido, plastico fino ad arrivare al liquido) da cui determinare l’Indice di Plasticità: le argille saranno tanto più soggette a variazioni di volume conseguenti a variazioni di umidità quanto più elevato è l’Indice di Plasticità. L’Indice di Plasticità dipende anch’esso sia dalla percentuale di argilla, sia dal tipo di minerale argilloso, per cui è più strettamente correlato con il potenziale di rigonfiamento. Tra i Limiti di Atterberg è consigliabile effettuare anche il Limite di Ritiro per avere una stima della riduzione percentuale del terreno (tale limite corrisponde al valore del contenuto massimo in acqua al di sotto del quale una diminuzione di questo valore non produce una riduzione di volume del terreno in esame).
– prova al blu di metilene al fine di identificare la presenza di minerali argillosi attivi e quindi con comportamento più sensibilmente rigonfiante (tale prova più recentemente trova applicazione anche nello studio sull’innesco dei fenomeni franosi che si sviluppano in terreni marnso argillosi).
Accertata la natura rigonfiante dei terreni argillosi è consigliabile inoltre effettuare ulteriore prove geotecniche di laboratorio no0te come prove di rigonfiamento che possono essere effettuate in cella edometrica e/o triassiale.
Riferendoci a quelle più economiche in cella edometrica si possono avere tre tipi di prove di rigonfiamento per valutare:
– la pressione di rigonfiamento a volume costante ASTM D4546-85 (in cella edometrica si satura il provino mantenendolo confinato (nessuna deformazione, volume costante) con un alto carico non agente. Si riduce man mano il carico agente fino a che il terreno non mostra la tendenza a rigonfiare, verificando a quale pressione tale comportamento si manifesta);
– la deformazione di rigonfiamento a pressione costante ASTM D4546-85 (ovvero il rapporto percentuale DeltaV/V) in cella edometrica si satura il provino sottoponendolo a deformazione ad una pressione prossima a quella in sito (o, meglio, alla pressione di preconsolidazione, se nota). Si scarica il materiale annotando per ogni carico le deformazioni
– il potenziale di rigonfiamento noto come Metodo di Huder-Amberg particolarmente adatta in terreni sovraconsolidati.
Come detto sopra lo spessore di terreno interessato da fenomeni di rigonfiamento ed essiccamento (noto come ritiro delle argille) è in genere di alcuni metri ed è condizionato da vari fattori, tra cui la profondità e l’oscillazione stagionale della falda, in relazione alle condizioni meteo-climatiche, oltre che dalla presenza di alberi di alto fusto. Tale profodità interessata dai suddetti fenomeni di contrazione (ritiro)e rigonfiamento è detta “zona attiva” e più spingersi anche a notevole profondità, anche fino a 4 m dal piano campagna. La presenza di piante può aumentare notevolmente sia la profondità a cui si risente l’essiccamento estivo, sia l’entità dell’essiccamento e quindi del fenomeno di ritiro, oltre che modificare sensibilmente il profilo di umidità nel sottosuolo.
Come valutare lo spessore della zona attiva?
Un metodo speditivo per la valutazione della profondità della zona attiva consiste nell’effettuare delle prove penetrometriche (statiche o dinamiche): in questi casi si identifica un livello superficiale che mostra una resistenza alla punta ovvero un maggior numero di colpi/piede rispetto ad uno stesso materiale posto più in profondità. La fascia superiore risentendo della contrazione volumetrica è caratterizzata da un maggior numero di colpi (argille molto compatte o sovraconsolidate per essiccamento).
Vi è una relazione tra alberi e lesioni al fabbricato?
La presenza degli apparati radicali di alberi posti in prossimità di fabbricati può accentuare tale processo in quanto causano un deficit idrico in quanto sottraggono l’acqua interstiziale dai terreni argillosi per controbilanciare l’evapotraspirazione fenomeno noto come idrotropismo.
Se si analizzano i quadri fessurativi delle lesioni nei fabbricati, spesso si osserva che essi si sviluppano nelle zone rivolte verso gli alberi in quanto le radici si infilano sotto le fondazioni superficiali dove è presente un grado di umidità maggiore rispetto alle altre zone.
Le conseguenze di tale processo sono cedimenti nel terreno e sviluppo di lesioni nel fabbricato.
Il fenomeno dell’idrotropismo si sviluppa nel seguente modo:
- il suolo inizia a cedere nella parte esterna della zona di influenza delle fondazioni con movimenti verticali e rotazione della struttura
- si sviluppano radici sotto la costruzione in quanto le radici “sentono” la presenza di umidità sotto la fondazione
- quando il terreno si secca in profondità a causa dell’assorbimento dell’umidità dalle radici, il fenomeno diviene irreversibile
Quali evidenze si hanno di tale processo dall’esame del quadro fessurativo?
In generale si osserva che la forma delle fessure esterne mostra un andamento a scalino negli angoli in corrispondenza dell’albero, mentre se gli alberi sono localizzati a metà facciata dell’edificio le fessure mostrano un andamento orizzontale con rotazione verso l’esterno.
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